Mario Deluigi

 

Interviste

Dalla rivista "Ars Agency" 1963 n. 2
"Un pittore del Cavallino"
di Mario Deluigi


"... Difatti credemmo, anzi credetti, che lo spazialità fosse il modo di essere per intendere la frazione di tempo che ci concede l' istante fisico prima di rimmergersi nel cosmo.

Un bagliore, un lampo. E ci trovammo invece, con una spazialità logica, fatta di dimensioni e di rapporti tanto più artistici quanto più reperibili dal mondo spento dei totem e degli idoli".
Da "II Gazzettino" 6 gennaio 1965
"lo cerco solamente la luce"
intervista di R. Joos a Mario Deluigi


"... Per parte mia invece, dopo aver scontato (non dico sofferto) la proprietà dei segni e poi dei vuoti e poi ancora la relazione tra pieni e vuoti, sempre imbevuto nel concetto spaziale e nella superficie, mi sono accorto che un segno è valido in sé, tanto quanto le figure che lo generano, sicché l' uno e le altre si equivalgono, si eliminano e perciò si scaricano di significati rivelando la vera essenza del pensiero plastico contemporaneo che è luce emotiva.
Pensati che sollievo! Non ti si potrà più chiedere che cos' è o non è astratto, concreto".
Trascrizione di un'intervista radiofonica. 1962

"Ritiene che la luce, protagonista unica della sua pittura assolva ad una funzione determinante nell' econo-mia dell' opera?

R. "Senz'altro.
E intendo dire: luce plastica, cioé luce che si sente, come io ritengo sia la luce del linguaggio plastico e nel mio caso appunto protagonista dell' opera.
Più difficile spiegare a parole la condizione per realizzarlo, che è una specie di Decadimento fisico, un modo di essere della casualità inevitabile, come la cesura improvvisa di questo nostro esistere nello spazio dal quale detta luce proviene e procede.
... e si sente. Basta ascoltare".
(In un'altra minuta ripete lo stesso concetto sulla luce con alcune variazioni)

"Intendo dire luce plastica che è la sostanza concreta del linguaggio astratto: esprimere in linguaggio la condizione astratta del pensiero contemporaneo."

Oppure:
"Anche, per esempio, dire astratto non significa solo deduzione della forma, ma piuttosto realtà inevitabile di un eterno esistere nello spazio e soltanto interrotto nella cesura di un accadimento fisico che è un nulla nel giro universale.
Astrazione?
E un modo di concepire l' esistenza."

Oppure:
"Anche dire astratto non significa deduzione o riversamento di una forma in un'altra forma ma è ciò che noi siamo ora, così come sempre, il resto è pura circostanza. Qualunque segno appartiene ad un prima e un dopo e quanti pochi segni usa l' umanità per intendersi e quanti ne perde che appartengono all' ignoto".
Da "Oggi Illustrato"
1975 aprile "Per me solo luce e ombre"
Intervista di L. Vincenzi a M. Deluigi


"... l' intera arte moderna è una violenza che si esercita nei confronti del pubblico e Iodico proprio io che mi sono sempre dedicato alla ricerca astratta, che da questa crisi si uscirà soltanto tornando alla figura e al paesaggio.
Il mio quadro non ha un argomento che attiri perché assomiglia alla vita contemporanea, convulsa e fram-mentaria. Quando noi eravamo giovani guardavamo a Mondrian, che riconquistava la superficie nel senso grammaticale del fatto. I maestri che ci precedevano andavano all' essenza; noi, che veniamo dopo siamo tutti pezzi del famoso vaso; chi viene ancora dopo di noi, se non cambierà, sarà ancora più frammentario.
... Venezia: che cosa rimane, dipingendola, se si distrugge il segno? Resta la luce. A volte ho talmente paura di covare tutto dal quadro che lascio delle ombre, che hanno l' unico scopo di chiarire il concetto dello mio luce. Sono le ombre della mia paura. La paura che non rimanga nulla se non il deserto."
Da "7 giorni Veneto" 1975 maggio
"incontro con Mario Deluigi il pittore della luce"


"... Poi ho eliminato piano piano tutto quello che poteva esser questa figurazione fisiologica e mi sono accorto che dovevo cercare la luce, cioé il valore strutturale. Dovevo costruire la luce, non come farebbe Tobey, che in fondo continua sempre una specie di verigrafia illustrativa. Ho capito che distruggendo il segno toglievo tutto quello che poteva essere significativo e così facendo appariva la luce. Mi sono incam-minato per questa strada che mi ha portato all' attuale mia pittura".

A. Ballis
"Vedendo le sue attuali opere si ha l' impressione che lei tolga dal dipinto segmenti di colore in modo che venga fuori il fondo della tela. "
M. Deluigi
"Non è esatto: il mio procedimento è di stendere dei valori cromatici in modo da recuperarti quando graffio. Perciò non è che io vado o trovare il bianco, posso trovare il rosa, il verde, il nero o qualsiasi altro colore che volutamente ho messo. In definitiva faccio esattamente questo: stendo sulla tela dei colori facendo una scelta preventiva sul piano cromatico e la mia successiva operazione è di trovare l' anima di questo colore il quale ha una luce, lo devo cercare di costruire quella luce: ecco perché non posso fare un segno più forte di quello che occorre in quell' ordine stabilito. "

"... è una costruzione quello che io faccio: vado avanti eliminando i segni man mano che li eseguo perché questi segni li devo vedere solamente con il pensiero. Praticamente è un fatto indiretto più che diretto anzi direi, anche se la parola si presta o diverse interpretazioni, che è uno "stato".
Da una lettera di G. C. Argan a Deluigi, Roma 29 aprile 1960

"... La sua presentazione olio Quadriennale mi ha colpito profondamente: benché, come lei sa, abbia sempre seguito con interesse la sua opera. C'è in quelle opere una chiarificazione del problema intorno al quale lei lavora da molto tempo. Non credo alle "nebuleuses"* di M. Bill, uomo pieno di buone intenzioni, ma fermamente deciso a non voler ammettere l' aspetto drammatico, e più che drammatico dell' arte contem-poranea. Nella quale, come Giedion, e in genere gli svizzeri, si ostina a vedere chissà quale felicità creativa e quale promessa per l' avvenire del mondo.
Ora, quel che io penso della sua pittura, è che essa pone con molta chiarezza la questione dello spazio come ipotesi: e non nel senso di una maggior o minore probabilità, ma nel senso che l' ipotesi "operabile" è la condizione fondamentale dell' essere hic et nunc. Quella che lei chiama solidificazione della luce non è in fondo che una definizione fenomenologica, - e quindi necessariamente fondata sul fatto luce - dello spazio. Naturalmente il porre in questi termini il problema dello spazio o, meglio, dimostrare quanto sia difficile per la nostra coscienza farsi o darsi uno spazio, significa riconoscere e dichiarare i limiti della nostra concezione del mondo e della vita,- e in modo più rigoroso, anche se meno esplicito, di chi manifesta il suo dramma nella sua evidenza sociale.
In ogni caso, come già dissi per Dorazio, mi pare importante che, nella generale Vernichtung del gesto o della materia, si riproponga il problema del valore del concetto di spazio: essendo, oltretutto, un dato fenomenico assoluto la presenza di un pensiero o piuttosto di una preoccupazione dello spazio nella coscienza moderno."

* = Argan si riferisce alla definizione di "nebulose" data da Max Bill ad un gruppo di opere di Mario Deluigi (motivo sui vuoti) che furono esposte alla Biennale di Venezia del 1954.